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Studio medico senza attività chirurgica non necessita di autorizzazioni

Inserito il 12 ottobre 2017 alle 13:07:00 da fimmg1957. IT - Professione


Lo studio medico non attrezzato per la chirurgia, non necessita di alcuna autorizzazione, mentre lo studio medico attrezzato per l’esecuzione di prestazioni chirurgiche necessita dell’autorizzazione all’esercizio, l’ambulatorio necessita dell’autorizzazione alla realizzazione prima e dell’autorizzazione all’esercizio dopo.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III – sentenza 27 marzo 2017 n. 1382

Pubblicato il 27/03/2017

N. 01382/2017REG.PROV.COLL.

N. 07722/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7722 del 2016, proposto dal dott. Pierfrancesco xxxx, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuliano Gruner (C.F. GRNGLN77T15H501R) e Federico Dinelli (C.F. DNLFRC83L09D024X), con domicilio eletto presso il primo, in Roma, via del Quirinale N. 26;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso per legge dall’avv. Pier Ludovico Patriarca (C.F. PTRPLD58R30I573Q), domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

Regione Lazio, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso per legge dall’avv. Roberta Barone (C.F. BRNRRT71D54H501K), domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna N. 27.

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sez. II ter, n. 9649/2016, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e della Regione Lazio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 marzo 2017 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Giuliano Gruner, Federico Dinelli, Roberta Barone e Frigenti su delega dichiarata dell’avvocato Pier Ludovico Patriarca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il dott. xxxx Pierfrancesco, in data 18 luglio 2007, presentava al Comune di Roma istanza di autorizzazione all’apertura di uno studio medico attrezzato per erogare prestazioni chirurgiche in campo dermatologico, flebologico ed estetico, corredata dalla documentazione prescritta dalla legge regionale n. 4 del 2003 e dal regolamento di attuazione n. 2/2007; istanza poi trasmessa dal comune, in data 31 agosto 2007, “per il seguito di competenza”, alla Regione Lazio, la quale rimaneva silente.

Entrata in vigore la legge regionale n. 14/2008 – che prevedeva, mercè l’introduzione del comma 1 bis nel corpo dell’art. 5 della legge regionale 4/2003, che “i soggetti titolari delle strutture di cui all’articolo 4, comma 2, nelle more della verifica del possesso dei requisiti minimi di cui al comma 1, lettera a), del presente articolo con la procedura prevista dall’articolo 7, sono autorizzati all’esercizio dell’attività sulla base dell’invio alla Regione di atto di notorietà concernente il possesso dei requisiti minimi di cui allo stesso comma 1, lettera a)” – il dott. xxxx, nel settembre 2008, presentava autocertificazione recante la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà relativa al possesso dei requisiti minimi, ed avviava conseguentemente l’attività.

A seguito di un controllo dei NAS dei Carabinieri, nel 2010, la struttura veniva tuttavia sottoposta a sequestro preventivo in quanto asseritamente sprovvista della necessaria autorizzazione. La Corte di Cassazione si pronunciava con sentenza n.1259 del 18 novembre 2010 con la quale annullava l’ordinanza del Tribunale della Libertà ed ordinava la restituzione del bene all’avente diritto, sul presupposto che “in base al chiaro disposto dell’art. 5 comma 1 bis cit…in attesa del controllo e degli accertamenti tecnici che competono alla Regione, l’autocertificazione deve considerarsi equipollente alla formale autorizzazione”.

Il dott. xxxx riprendeva ad esercitare la propria attività, non mancando di ottemperare al disposto dell’art. 2 comma 17 della legge regionale 24 dicembre 2010, n. 9, medio tempore entrata in vigore, che imponeva alle strutture abilitate ex art 5 comma 1 bis cit. la presentazione in via telematica di una domanda di “conferma” dell’autorizzazione all’esercizio, tant’è che la struttura veniva inclusa nell’elenco delle “strutture che hanno completato la procedura prevista per la conferma…..” approvato con decreto del Commissario ad acta del 9 aprile 2013, n. U00097 e pubblicato sul BUR Lazio del successivo 26 aprile 2013.

Sennonchè, il 7 aprile 2015, il dott. xxxx riceveva dal Comando dei Carabinieri per la Tutela della Salute di Roma un invito a presentarsi per essere escusso a sommarie informazioni, in quanto (nuovamente) indagato per il reato di cui all’ art. 193 del testo unico leggi sanitarie, perché, in concorso con altri, “apriva e manteneva senza la prescritta autorizzazione regionale, un centro clinico di chirurgia ambulatoriale…”.

A fronte di tali fatti, in data 8 maggio 2015, il dott. xxxx inviava tramite Pec, alla Regione ed a Roma Capitale, la diffida a concludere il procedimento di formale autorizzazione avviato nel lontano 18 luglio 2007. Non ottenendo riscontro dalle Amministrazioni intimate, stigmatizzava l’inerzia mediante apposito ricorso giurisdizionale dinanzi al Tar Lazio.

Nelle more, in data 30 giugno 2015, lo studio medico veniva sottoposto nuovamente ad accertamento da parte dei Nas di Roma, ed in seguito a ciò, il Dipartimento Politiche Sociali Sussidiarietà e Salute di Roma Capitale, con nota in data 21 luglio 2015, prot. n.56026, contestata l’assenza della necessaria autorizzazione regionale in capo al ricorrente, comunicava l’avvio del procedimento finalizzato a disporre la cessazione e la chiusura della struttura, procedimento poi conclusosi con provvedimento dell’11 settembre 2015.

Tale ultimo provvedimento veniva impugnato con motivi aggiunti dal dott. xxxx.

Il Tribunale dapprima, con sentenza non definitiva, dichiarava inammissibile in quanto tardivo il ricorso avverso il silenzio (sentenza rimasta inoppugnata). Poi, con la sentenza in epigrafe indicata, respingeva i motivi aggiunti.

Avverso tale sentenza il dott. xxxx ha proposto appello.

Nel giudizio si sono costituite sia la Regione Lazio che Roma Capitale. Entrambe hanno chiesto la reiezione del gravame in quanto infondato.

La causa è stata delibata in sede cautelare, con conseguente sospensione degli effetti del provvedimento impugnato (decreto monocratico n. 4542/2016 e successiva ordinanza n. 5007/2016) e poi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 16 marzo 2017.

DIRITTO

1.Il Tar, con la sentenza gravata, ha preliminarmente ricostruito il quadro normativo, dando atto che, a mente del comma 1-bis dell’art. 5, “i soggetti titolari delle strutture di cui all’articolo 4, comma 2, nelle more della verifica del possesso dei requisiti minimi di cui al comma 1, lettera a), del presente articolo con la procedura prevista dall’articolo 7, sono autorizzati all’esercizio dell’attività sulla base dell’invio alla Regione di atto di notorietà concernente il possesso dei requisiti minimi di cui allo stesso comma 1, lettera a)” e poi osservato che “lo studio medico, per rimanere tale e non configurare un ambulatorio, o altra struttura, soggetti ad autorizzazione alla realizzazione, deve essere inscindibilmente legato all’attività professionale del soggetto titolare o dei titolari associati, con profilo prevalente di tale attività su quello organizzativo e conseguenti effetti anche sul piano della configurazione della struttura (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6136; Cass. Civ., sez. II, 19 marzo 2010, n.6719)” .

1.1.Sulla base di tali premesse ha poi rilevato che “…documentate circostanze comprovano, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, l’esistenza di una struttura organizzativa complessa, da qualificare quale ambulatorio, caratterizzata da un insieme di risorse umane e organizzative per lo svolgimento dell’attività, attrezzata per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale nel campo della chirurgia plastica (estetica, dermatologica, flebologica-vascolare) ……….. mediante procedure di particolare complessità, con l’intervento contemporaneo di più operatori, svolte con l’assistenza di professionisti/collaboratori esterni, specializzati nei rispettivi campi di prestazione medica, con assistenza anestesiologica”, giungendo alla conclusione che, per siffatta struttura “ai sensi della previgente e vigente normativa, è richiesto il titolo autorizzatorio, non trovando applicazione nella specie il meccanismo autorizzatorio implicito di cui all’art. 5, comma 1 bis della l.r. n. 4 del 2003 (alla luce anche degli aggiornamenti da parte della Regione riguardo i requisiti minimi per il rilascio delle autorizzazioni), bensì l’obbligo del procedimento autorizzatorio avviato mediante formale richiesta di autorizzazione ai sensi degli art.6 e 7 della predetta l.r. n. 4 del 2003, presentata al Comune e alla Regione secondo i rispettivi profili di competenza, e da concludersi col previo rilascio del provvedimento finale espresso”.

2.In appello, il dott. xxxx insiste nel sottolineare che: a) solo la Regione, e non il Comune in sede di applicazione delle sanzioni, avrebbe potuto accertare che lo studio medico non era riconducibile alla tipologia dell’art. 4 comma 2 della legge regionale 4/2003, bensì alla tipologia del comma 1, e come tale necessitava dell’autorizzazione espressa, prima alla realizzazione, e poi all’esercizio. Accertamento mai intervenuto, nemmeno a seguito della proposizione del ricorso avverso l’inerzia; b) inammissibilmente il Tar si sarebbe sostituito alla Regione nell’operare tale accertamento, in violazione dell’art. 34 comma 2 del codice di rito, per il quale “in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”; c) la normativa regionale sarebbe chiara nell’indicare la compatibilità fra lo “studio medico” e l’erogazione di prestazioni chirurgiche, escludendo – a differenza degli ambulatori – la necessità di autorizzazione alla “realizzazione”, ma prevedendo come necessaria – a differenza del semplice “studio medico” – l’autorizzazione all’esercizio, sostituibile, nelle more del rilascio, dalla dichiarazione sostitutiva ex art. 5 comma 1 bis. Sostenere, come da ultimo avrebbe fatto la Regione con d.G.R. n. 447/2015, l’equiparabilità, ai fini autorizzativi, dello “studio medico attrezzato per le prestazioni chirurgiche” all’ “ambulatorio”, significherebbe – secondo l’appellante – operare una sostanziale abrogazione dell’art. 4, comma 2, cit. L.R.4/2003. In ogni caso, la deliberazione da ultimo citata, sarebbe inapplicabile ratione temporis; d) il Tar avrebbe inoltre errato nell’individuare, nella struttura sanitaria oggetto di causa, le caratteristiche organizzative e funzionali di un ambulatorio: e) il Tar, ancora, avrebbe omesso di valutare il motivo con il quale in primo grado si era censurato il difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento impugnato, per essere quest’ultimo esclusivamente basato sul difetto del titolo autorizzativo, piuttosto che sulla riconducibilità, in concreto, della struttura de qua alla tipologia dell’ambulatorio; f) sarebbe infine erronea la statuizione con la quale il Tar ha reputato congruo il termine assegnato per controdedurre in sede procedimentale (sette giorni), a seguito dell’avvio del procedimento poi conclusosi con il provvedimento impugnato.

3.Ritiene, il Collegio, che i motivi dalla lett. a) alla lett. e), che per comodità, di seguito si esamineranno congiuntamente, siano fondati.

3.1.La Sezione, con la recente sentenza n. 23/2017, ha chiarito, operando una compiuta ricognizione anche in chiave storica del quadro normativo rilevante, che nel sistema autorizzatorio basato sull’art. 193 del T.U.LL.SS., gli studi medici – individuati come tali in base alla mancanza di un’organizzazione distinta dalla figura del medico, o quanto meno dalla assoluta prevalenza dell’elemento professionale rispetto a quello organizzativo – erano esentati dalla necessità di essere autorizzati, indipendentemente dal tipo di attività che svolgevano.

E’ con l’entrata in vigore del d.lgs. 229/1999, che è si è registrato un mutamento di approccio nell’ambito dell’ampia categoria degli studi medici. In particolare, attraverso l’introduzione dell’art. 8-ter nel d.lgs. 502/1992, si è collegata la necessità dell’autorizzazione, non più soltanto all’esistenza di un ambulatorio anziché di uno studio medico, ma anche allo svolgimento, da parte dello studio medico, di determinate attività, prevendendosi che “l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie è, altresì, richiesta per gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, individuati ai sensi del comma 4, nonché per le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche, svolte anche a favore di soggetti terzi”.

3.2.Dopo la modifica del Titolo V della Costituzione, l’art. 4 comma 2 della legge regionale del Lazio 4/2003, ha sostanzialmente riprodotto la disposizione statale. In attuazione dell’art. 5 della l.r. 4/2003, i requisiti minimi per il rilascio dell’autorizzazione sono stati poi individuati dalla d.G.R. Lazio n. 424/2006 (poi sostituita dalle d.C.A. n. 90/2010 e n. 8/2011, quest’ultima attualmente vigente); mentre i termini e le modalità procedimentali sono stati disciplinati dal regolamento regionale 2/2007 (modificato dal regolamento 11/2007).

3.3. Un dato, dunque, sembra pacifico sulla base della legislazione statale e regionale (che la riproduce): a) lo studio medico non attrezzato per la chirurgia, non necessita di alcuna autorizzazione; b) lo studio medico attrezzato per l’esecuzione di prestazioni chirurgiche necessita dell’autorizzazione all’esercizio; c) l’ambulatorio necessita dell’autorizzazione alla realizzazione prima e dell’autorizzazione all’esercizio dopo.

In forza della disposizione della legge regionale 4/2003 di cui all’art. 5 comma 1 bis, introdotta dalla legge regionale n. 14/2008, nelle more delle verifiche, lo studio medico attrezzato per l’esecuzione di prestazioni chirurgiche, di cui alla lett. a), può svolgere attività sulla base di un atto di notorietà. L’art. 2 bis del Reg. reg. 26/01/2007, n. 2 – aggiunto dall’art. 2, Reg. 22 giugno 2009, n. 10 – ha, più nel dettaglio, chiarito che “i soggetti di cui all’art. 5, comma 1-bis, della L.R. n. 4/2003 inoltrano alla direzione regionale competente, in triplice copia e a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, l’atto di notorietà concernente il possesso dei requisiti minimi di cui all’art. 5, comma 1, lettera a), della L.R. n. 4/2003, unitamente alla documentazione indicata al comma 2. Decorsi quarantacinque giorni dalla data di ricezione da parte della direzione regionale competente dell’atto di notorietà e della documentazione, e previa comunicazione, essi possono provvisoriamente intraprendere l’attività, fermo restando quanto previsto nei successivi articoli”.

4. E’ quanto fatto dal dott. xxxx, il quale, ritenendo evidentemente di esercitare uno studio medico attrezzato per l’erogazione di prestazioni chirurgiche si è limitato a chiedere, nel 2007, l’autorizzazione all’esercizio, ed a presentare, nelle more della verifica di competenza regionale, l’atto di notorietà previsto dall’art. 2 bis del Reg. reg. 26/01/2007, n. 2. Non ha invece chiesto l’autorizzazione alla realizzazione.

5. La Regione non ha mai risposto alla domanda di autorizzazione, né ha agito in applicazione dell’art. 9 comma 6 del regolamento citato, a mente del quale “Relativamente ai soggetti di cui all’articolo 5, comma 1-bis, della L.R. n. 4/2003, qualora venga riscontrata la non completezza della documentazione inviata ai sensi dell’articolo 8, comma 2-bis ovvero emergano cause ostative all’esercizio dell’attività, la direzione regionale competente diffida il richiedente a sospendere l’attività medesima sino alla regolarizzazione dei profili di criticità rilevati”.

5.1. Deve dunque ritenersi, sino a diverso pronunciamento della Regione, che il dott. xxxx abbia valido titolo per l’esercizio della struttura della quale è titolare, e che il titolo sia, in particolare, individuabile nel perfezionamento della complessa fattispecie abilitativa specificatamente prevista dalla legge e consistente nella presentazione della domanda di autorizzazione all’esercizio, seguita dall’atto di notorietà attestante il possesso dei requisiti.

5.2.Il provvedimento comunale, intervenuto prima ed a prescindere dall’accertamento della Regione, è conseguentemente illegittimo: a) in primis perché oblitera la circostanza dell’avvenuta presentazione della domanda di autorizzazione all’esercizio e del successivo atto di notorietà, che sulla base del quale l’art. 2 bis del Reg. reg. 26/01/2007, n. 2, consente la provvisoria intrapresa dell’attività; e comunque b) perché basato sull’erronea affermazione della mancanza di un titolo abilitativo all’esercizio, piuttosto che (come invece esplicitato ex post nelle difese dalle parti pubbliche) sulla sostanziale configurabilità di un ambulatorio e la conseguente necessità di una previa autorizzazione (anche) alla realizzazione dello stesso.

5.3. Quanto appena chiarito rende evidentemente ultronea la valutazione del motivo d’appello sinteticamente riportato alla lettera f) del par. 2, incentrato su vizi meramente procedimentali.

6. In conclusione l’appello è accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti in primo grado è annullato.

Avuto riguardo alla novità e complessità delle questioni appare equo compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie. Per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, annulla il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti in primo grado.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani, Presidente

Francesco Bellomo, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere, Estensore

Sergio Fina, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

Giulio Veltri Lanfranco Balucani

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