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Ivrabadina: no assieme a verapamil o diltiazem

Categoria : Clinica
Data : 15 dicembre 2014
Autore : fimmg1957

Intestazione :

L'Agenzia Italiana del Farmaco rende disponibili nuove e importanti informazioni su i medicinali a base di ivabradina cloridrato con una nuova controindicazione e raccomandazioni per minimizzare il rischio di eventi cardiovascolari e bradicardia severa.



Testo :

Nel trattamento sintomatico dei pazienti con angina cronica stabile, ivabradina è indicata negli adulti che sono intolleranti o che hanno una controindicazione all’uso dei beta-bloccanti o in associazione ai beta-bloccanti nei pazienti non adeguatamente controllati con una dose ottimale di beta-bloccante.

La terapia con questi farmaci deve essere iniziata solo se la frequenza cardiaca a riposo del paziente è superiore o uguale a 70 battiti al minuto (bpm) e deve essere interrotta se i sintomi dell’angina non migliorano entro 3 mesi.

È controindicato l’uso concomitante di ivabradina con verapamile o diltiazem.


Prima di iniziare la terapia o quando si considera una titolazione della dose, la frequenza cardiaca del paziente deve essere monitorata frequentemente, includendo misurazioni ripetute della frequenza cardiaca, un ECG o un monitoraggio in ambulatorio nelle 24 ore.

La dose iniziale di ivabradina non deve superare 5 mg due volte al giorno.
• Se il paziente è ancora sintomatico dopo tre o quattro settimane di trattamento, la dose può essere aumentata a 7,5 mg due volte al giorno se la dose iniziale è ben tollerata e se la frequenza cardiaca a riposo rimane superiore a 60 bpm. L’effetto dell’aumento della dose sulla frequenza cardiaca deve essere attentamente monitorato.

• La dose di mantenimento di ivabradina non deve superare 7,5 mg due volte al giorno.

• Se, durante il trattamento, la frequenza cardiaca a riposo si riduce al di sotto di 50 battiti al minuto (bpm) oppure se il paziente riferisce sintomi collegati a bradicardia, la dose deve essere ridotta, considerando anche la dose più bassa di 2,5 mg due volte al giorno. Dopo la riduzione della dose, la frequenza cardiaca deve essere monitorata. Il trattamento deve essere interrotto se la frequenza cardiaca si mantiene sotto i 50 bpm oppure se persistono i sintomi di bradicardia nonostante la riduzione della dose.

Il rischio di sviluppare fibrillazione atriale è più alto nei pazienti trattati con ivabradina: si raccomanda quindi un regolare monitoraggio clinico. Se durante il trattamento compare fibrillazione atriale, il bilancio tra i benefici e i rischi del proseguimento del trattamento con ivabradina deve essere attentamente riconsiderato.

Le raccomandazioni sopra descritte sono state fatte a seguito della valutazione dei risultati dello studio SIGNIFY. Questo studio randomizzato placebo-controllato è stato effettuato su 19.102 pazienti con coronaropatia senza segni clinici di insufficienza cardiaca.
I pazienti nel gruppo ivabradina iniziavano la terapia ad una dose più alta di quella raccomandata, ossia 7,5 mg b.i.d. (5 mg b.i.d., se età > 75 anni), poi titolata fino ad un massimo di 10 mg due volte al giorno; tale dose è più alta di quella inziale raccomandata di 5 mg e della dose massima di 7,5 mg due volte al giorno.
Il trattamento con ivabradina non ha mostrato un effetto benefico sull’endpoint composito primario (PCE) di morte cardiovascolare o infarto miocardico non fatale: hazard ratio 1,08, 95% CI [0,96 – 1,20], p=0,197 (incidenza annuale del 3,03% vs 2,82%). Inoltre, in un sottogruppo pre-specificato di pazienti con angina sintomatica (CCS Classe II o superiore) (n=12.049), è stato osservato con ivabradina un piccolo aumento statisticamente significativo del PCE: hazard ratio 1,18, 95% CI [1,03 – 1,35], p=0,018 (incidenza annuale del 3,37% vs 2,86%). Un trend simile è stato osservato con i componenti del PCE, con un aumento statisticamente non significativo del rischio di morti cardiovascolari (hazard ratio 1,16, 95% CI [0,97 – 1,40], p=0,105, incidenze annuali del 1,76% vs 1,51%) e di infarto miocardico non fatale (hazard ratio 1,18, 95% CI [0,97 – 1,42], p=0,092, incidenze annuali del 1,72% vs 1,47%). Non è stato osservato un incremento di morti improvvise nel gruppo ivabradina, suggerendo l’assenza di un effetto ventricolare pro-aritmico di ivabradina. La dose utilizzata nello studio, più alta di quella approvata, non spiega completamente i risultati ottenuti.
Nella popolazione globale, si è osservata una incidenza significativamente più alta di bradicardia (sintomatica e asintomatica) con ivabradina rispetto al placebo (17,9% vs 2,1%), con più del 30% dei pazienti del gruppo ivabradina che ha riportato un abbassamento della frequenza cardiaca a riposo sotto ai 50 bpm in almeno una occasione. Il 7,1% dei pazienti aveva ricevuto durante lo studio verapamile, diltiazem o potenti inibitori del CYP3A4.
Nello studio SIGNIFY, si è osservata fibrillazione atriale nel 5,3% dei pazienti che assumevano ivabradina rispetto al 3,8% dei pazienti che assumevano placebo. In un’analisi complessiva (pooled analysis) di tutti gli studi clinici di fase II/III in doppio cieco controllati con una durata di almeno 3 mesi, che ha incluso più di 40.000 pazienti, l’incidenza di fibrillazione atriale è stata del 4,86% nei pazienti trattati con ivabradina, in confronto al 4,08% del gruppo di controllo, che corrisponde ad un hazard ratio del 1,26, 95% CI [1,15 – 1,39].
In aggiunta alle raccomandazioni sopra descritte, si evidenzia che le informazioni del prodotto saranno aggiornate con ulteriori informazioni, tra cui:
• Ivabradina è indicata solo per il trattamento sintomatico dell’angina pectoris cronica stabile in quanto ivabradina non ha mostrato benefici sugli esiti cardiovascolari (es. infarto del miocardio o morte cardiovascolare) in pazienti con angina sintomatica.
• I pazienti devono essere informati dei segni e sintomi della fibrillazione atriale e devono essere avvisati di contattare il medico se questi si verificano.
• Se vi è solo una limitata risposta sintomatica e quando non vi è una riduzione clinicamente rilevante nella frequenza cardiaca a riposo entro 3 mesi, deve essere presa in considerazione l’interruzione del trattamento.



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