 Sindrome coronarica acuta: rischi annullano i benefici dei nuovi anticoagulanti
Categoria : Clinica
Data : 27 settembre 2012
Autore : fimmg1957
Intestazione :
Secondo una metanalisi di sette studi pubblicata sugli Archives of Internal Medicine, infatti, la riduzione degli eventi ischemici offerta dai nuovi anticoagulanti nei pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA) è controbilanciata dai rischi elevati di sanguinamento.
Testo :
L’analisi, opera di un gruppo ungherese, mostra che i pazienti trattati per una SCA con un antagonista del fattore Xa (anti-Xa) o un inibitore diretto della trombina hanno un rischio di emorragie tre volte maggiore rispetto a quelli trattati con un placebo (OR 3,03; IC al 95% 2,21-4,16; P < 0,001). Il rischio di sanguinamento ha quasi vanificato la riduzione significativa, ma modesta, degli eventi ischemici (OR 0,86, 95% CI 0,79-0,94) e quella, non significativa, della mortalità complessiva (OR 0,90; IC al 95% 0,79 -1,04), portando così a un odds ratio di beneficio clinico netto pari a 0,98 (IC al 95% 0,90-1,06; P = 0,57). Nell’introduzione del lavoro, gli autori spiegano che, nonostante l’assunzione della doppia terapia antiaggregante, i pazienti che hanno avuto una SCA rimangono a rischio significativo di eventi trombotici e che in questo setting il ruolo dell’anti-Xa e degli inibitori diretti della trombina è dibattuto. Il team ungherese fa rilevare che gli antiaggreganti "più potenti e meno variabili" come prasugrel e ticagrelor hanno dimostrato di offrire migliori risultati clinici, ma "il verificarsi di eventi trombotici dopo una SCA non dipende esclusivamente dalle piastrine”. Il gruppo ha quindi cercato di valutare l'efficacia e la sicurezza degli anticoagulanti orali di nuova generazione rispetto al placebo nei pazienti sottoposti a alla terapia antiaggregante dopo una SCA. I tre agenti considerati nella metanalisi erano l’inibitore diretto della trombina dabigatran e i due antagonisti del fattore Xa rivaroxaban e apixaban. Da notare che la Food and Drug Administration (Fda) nel giugno scorso non ha dato il suo ok all'uso di rivaroxaban in prevenzione secondaria nei pazienti con SCA presumibilmente proprio a causa di un eccesso di rischio di sanguinamento osservato nello studio ATLAS ACS. E l'anno scorso, l’agenzia aveva diramato un avviso alla classe medica dicendo che stava esaminando le segnalazioni post-marketing su dabigatran per vedere se vi fosse un rischio di sanguinamento aumentato nei pazienti con fibrillazione atriale a rischio di ictus. Ad oggi, tuttavia, l’Fda non ha diffuso ulteriori comunicazioni su questo anticoagulante.
La metanalisi appena pubblicata ha combinato i dati relativi a 31.286 pazienti arruolati nei trial che rispondevano ai criteri di inclusione, sette studi clinici randomizzati e controllati con placebo, condotti tra il 2000 e il 2011. I partecipanti erano stati ricoverati in ospedale a causa di un angina pectoris instabile, un infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) o un infarto senza sopraslivellamento del tratto ST (non-STEMI).
Quelli trattati con gli inibitori del fattore Xa hanno completato gli studi entro una settimana,mentre quelli trattati con l’inibitore diretto della trombina entro 2 settimane. I partecipanti sono stati seguiti per un periodo variabile tra 3 mesi e 5 anni, per un totale di 52.936 pazienti anno. Gli autori hanno esaminato i dati sulla frequenza degli eventi emorragici, la mortalità complessiva, le trombosi dello stent, un endpoint combinato di eventi ischemici maggiori (morte, infarto miocardico, ictus ischemico o una grave ischemia ricorrente) e la trombolisi nell'infarto miocardico (TIMI).
La metanalisi ha evidenziato riduzioni significative del rischio di eventi ischemici e di trombosi dello stent nel gruppo trattato farmacologicamente rispetto al gruppo placebo, senza però un effetto significativo sulla mortalità complessiva. In più, scrivono gli autori, l’uso dei nuovi anticoagulanti orali dopo una SCA si è associato a un aumento drammatico degli eventi emorragici maggiori.
Il risultato è che, in termini di beneficio clinico netto, questi agenti non offrono vantaggi rispetto al placebo. "Quando sono stati presi in considerazione sia l’insieme degli eventi ischemici compositi sia i sanguinamenti maggiori, l'utilizzo degli anticoagulanti orali di nuova generazione non ha mostrato alcuna differenza di beneficio clinico netto" scrivono i ricercatori.
Nella discussione, gli autori fanno anche un paragone tra il profilo rischio/beneficio dei farmaci più recenti con quello della terapia con warfarin e aspirina, sottolineando che con questa combinazione di farmaci si sono ottenuti risultati simili in termini di riduzione degli eventi ischemici e aumento del rischio di sanguinamenti maggiori.
Il gruppo precisa anche che in molti degli studi c’è stata una sospensione anticipata del trattamento farmacologico da parte di molti pazienti e in molti casi un follow-up più breve, il che potrebbe aver influenzato i risultati.
In un editoriale di commento, Adrian Hernandez, della Cleveland Clinic, ha osservato che i risultati relativi agli effetti benefici del trattamento farmacologico potrebbero essere stati distorti a causa una classificazione sbagliata degli esiti ischemici secondari, ma ha aggiunto che "il vantaggio è stato in gran parte annullato dal danno”.
Fonte
Komócsi A, et al. Use of new-generation oral anticoagulant agents in patients receiving antiplatelet therapy after an acute coronary syndrome. Arch Intern Med 2012.Fonte
Komócsi A, et al. Use of new-generation oral anticoagulant agents in patients receiving antiplatelet therapy after an acute coronary syndrome. Arch Intern Med 2012.
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