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Mera iperprescrizione non è sanzionabile

Inserito il 23 febbraio 2018 alle 18:01:00 da fimmg1957. IT - Professione


La “iperprescrizione in senso lato” derivante dal mero superamento di medie ponderate, non può essere sanzionabile al MMG.

REPUBBLICA ITALIANA SENT. N. 2/2018
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA
Composta dai Magistrati:
Silvano Di Salvo Presidente
Eugenio Madeo Componente Giuseppina Veccia Componente relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 28723 del registro di segreteria ad istanza della Procura regionale per la Lombardia contro B. G. G., nato a --------- (--) il ------ e residente a -----, in via -----, n.--, C.F. --------, rappresentato e difeso dall’avv. G. M. presso lo studio del quale, in -----, alla via L. n. ---, ha eletto domicilio;
VISTO l’atto introduttivo;
LETTI gli atti e i documenti di causa;
UDITI, nella pubblica udienza del 27 settembre 2017, con l’assistenza del segretario dott.ssa Barbara Marta Pisani, il magistrato relatore Giuseppina Veccia, il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Antonino Grasso, l'avv. G. M. per il convenuto.
Premesso in

FATTO
Con atto di citazione ritualmente depositato presso la Segreteria di questa Sezione in data 23 maggio 2012, la Procura regionale conveniva in giudizio il dott. B. G. G. per sentirlo condannare al pagamento, in favore dell’ASL Città di Milano, ora A.T.S. e della Regione Lombardia, dell’importo di € 21.355,59, oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio, in relazione all'asserito danno cagionato all’erario per "iperprescrizione" di farmaci.
La vicenda ha preso avvio da una comunicazione in data 8 luglio 2005 con la quale la Guardia di Finanza ha segnalato alla Procura regionale una possibile fattispecie di danno erariale cagionato da medici di medicina generale (d'ora in avanti M.M.G.) delle ASL della Regione Lombardia, in rapporto di convenzione con il S.S.N. per il periodo 2002-2004, in ragione di una condotta prescrittiva di farmaci difforme rispetto alla generalità dei medici operanti nelle rispettive ASL di appartenenza.
A seguito di attività istruttoria delegata dalla medesima Procura erariale, la Guardia di Finanza, con nota prot. n. 33075/05/ del 21 febbraio 2006 ha relazionato in merito all’analisi di dettaglio dell’attività ‘iperprescrittiva’ dei M.M.G., con particolare riferimento alle anomalie riscontrate in sede di controllo ovvero a situazioni caratterizzate da elevate percentuali di scostamento rispetto alle prescrizioni medie ponderate nelle ASL.
Riguardo a tali casi, l’analisi di dettaglio della spesa farmaceutica ha preso in esame i farmaci oggetto di "iperprescrizione" appartenenti ad alcuni gruppi A.T.C. - secondo la classificazione Anatomica Terapeutica Chimica - ed, in particolare, farmaci di livello A (gruppo anatomico: apparato gastrointestinale e metabolismo), di livello C (gruppo anatomico: sistema cardiovascolare), di livello J (gruppo anatomico: antimicrobici generali per uso sistemico) e di livello M (gruppo anatomico: sistema muscolo-scheletrico), caratterizzati da una prescrizione svincolata dall'induzione specialistica e non influenzata dalle ‘anomalie’ conseguenti a trattamenti e terapie per pazienti con patologie particolari e gravose dal punto di vista clinico ed economico (neoplasie, HIV, genetiche etc.).
Per tali gruppi terapeutici sono stati, quindi, individuati solo i Medici di Medicina generale che avevano mantenuto, nel corso di più anni, una condotta prescrittiva anomala per almeno due annualità consecutive.
Nella citata relazione la Guardia di Finanza ha specificato altresì i criteri di calcolo seguiti nella determinazione del presunto danno erariale e basati sul computo della spesa media per assistibile calcolato per ciascun Medico di famiglia, desumibile dal rapporto tra il totale della spesa annua generata dalle prescrizioni del medico nell’ambito della classe A.T.C. di riferimento ed il numero degli assistibili valutati secondo i coefficienti previsti dalla Delibera della Regione Lombardia nr. 2806 del 22/12/2000.
Alla luce di tale istruttoria, è emerso un significativo ed anomalo scostamento, nel periodo 2002 - 2004, del dr. B. rispetto alla soglia di riferimento, calcolata per singolo gruppo A.T.C.
Gli ulteriori accertamenti svolti dall’ASL su indicazioni del P.M. contabile sono stati, inoltre, indirizzati a verificare l'appropriatezza delle prescrizioni anomale rispetto a quanto indicato nelle note C.U.F. -Commissione Unica del Farmaco, ora AIFA - o nelle schede tecniche vigenti all’epoca delle prescrizioni.
Il controllo analitico condotto dall'ASL sia di ricette o prescrizioni di farmaci, sia di percorsi diagnostici-terapeutici dei pazienti ai quali detti farmaci risultavano prescritti aveva evidenziato delle criticità nella condotta del suddetto M.M.G. con riguardo a talune specifiche molecole (Acido etidronico e Acido clodronico, ai FANS selettivi e non, ed Acido alendronico, Acido risendronico e Ralossifene) per le quali le prescrizioni del M.M.G. sarebbero state incongrue rispetto alle note CUF.
La Procura provvedeva, pertanto, a notificare, in data 27.10.2011, l’invito a dedurre al dott. B. per un possibile danno erariale pari ad euro 72.876,03, di cui euro 67.744,38 per "iperprescrizione" di farmaci ed euro 5.131,65 per un'ulteriore voce di danno da disservizio. L'invitato, assistito e difeso dall’avv. Gennaro M., presentava le proprie deduzioni e chiedeva di essere sentito personalmente. Le osservazioni e la documentazione fornite dal dr. B. sono state altresì poste all'attenzione dell'ASL interessata che, all'uopo, produceva relazione prot. n. 0016525 del 13.4.2012.
Alla luce della documentazione offerta dal dr. B., la Procura, ritenuto di non coltivare più la pretesa risarcitoria per la distinta voce di danno da disservizio, riteneva fondate le argomentazioni difensive, con il conseguente riconoscimento della legittimità del rimborso per parte dei farmaci prescritti, mentre per la residua parte, pari ad € 21.355,59, contestava la fattispecie di danno erariale con l'atto di citazione introduttivo del presente giudizio.
Nel verificare la sussistenza di tutti gli elementi della responsabilità amministrativa, l'attore pubblico ha evidenziato il rapporto di servizio tra il medico convenzionato e l’ASL di appartenenza, che impone al M.M.G. precisi adempimenti in materia di identificazione degli assistiti e accertamento del loro diritto alle prestazioni sanitarie, di rilascio di certificazioni sanitarie, di compilazione di prescrizioni farmaceutiche.
Sul punto, richiamata la distinzione di origine pretoria tra "iperprescrizione" di farmaci in senso ampio (situazione di frequente e ripetuto scostamento tra le scelte del singolo medico e quelle della generalità degli altri sanitari) ed "iperprescrizione" in senso stretto (come superamento del quantitativo di farmaco assumibile dall’assistito in un determinato periodo di tempo, risultante dalle indicazioni fornite dalla casa produttrice) ed affermata per entrambe le figure la giurisdizione della Corte dei conti sull’azione promossa per l'eventuale danno derivatone, è stato delineato il quadro normativo di riferimento (art. 2 della legge n. 531 del 29.12.1987, art. 4 del d. l.vo 30.12.1992, n. 539, art. 1, co. 4, della legge 8.8.1996, n. 425, art. 3 legge 8 aprile 1998, n. 94, DM 11.7.1988, n. 350, DM 2.8.2001 ed Accordo collettivo nazionale reso esecutivo con il d.P.R. n. 270/2000). Circa l'elemento psicologico, la reiterazione (per più di due anni consecutivi) di una sistematica violazione della disciplina normativa e regolamentare sopra richiamata nonostante il dott. B. fosse stato costantemente informato degli scostamenti della sua condotta prescrittiva, con notifica di reports da parte dell’ASL Città di Milano, in conformità alla delibera di Giunta regionale nr. VII/10246 del 6 agosto 2001, dimostrerebbe, per la Procura, un atteggiamento volitivo caratterizzato se non da dolo, da colpa grave.
Radicato il giudizio presso questa Sezione, il Collegio, con sentenza n. 454 del 13 dicembre 2012, dichiarava prescritta l’azione proposta dalla Procura regionale nei confronti del citato dr. B..
Interposto gravame dalla Procura attrice, lo stesso veniva accolto dalla III Sezione centrale d'appello con sentenza n. 537/2016 che annullava la sentenza n. 454/2012 e rimetteva gli atti al giudice di prime cure per la definizione della causa “nel merito”.
Con atto di citazione depositato in data 12 gennaio 2017 e ritualmente notificato alle parti, previa riserva di esperire richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, ai sensi dell’art. 94 del Codice di giustizia contabile (d'ora in avanti c.g.c.), la Procura erariale ha riassunto, ai sensi dell'art. 199, c. 3, c.g.c., il presente giudizio davanti a questa Sezione, per sentir accogliere le conclusioni di cui all’atto di citazione originario, di condanna del dott. G. G. B. al pagamento, in favore della A.S.L. Città di Milano (ora ATS) e della Regione Lombardia dell’importo di euro 21.355,59,oltre a rivalutazione monetaria, interessi e spese di giudizio, esprimendo il proprio assenso per l'eventuale definizione del giudizio ai sensi dell’art. 131 del c.g.c.
Con memoria depositata in data 5 settembre 2017, si è costituito il convenuto dott. B., rappresentato e difeso dall'Avv. G. M..
Il patrono, richiamate integralmente le difese di cui all'atto di costituzione del 23/10/12 (giudizio n.27443/2012 dinanzi a questa sezione) e di cui alla comparsa di costituzione del 21.07.2016 (giudizio n. 45575/15, innanzi alla Sezione III Centrale d'Appello) nonché la documentazione e tutti gli atti versati nei relativi fascicoli processuali, ha dedotto la nullità della motivazione della sentenza 537/2016 del Giudice d'appello per vizio di motivazione apparente e/o perplessa in ordine alla "Inidoneità contenutistica delle lettere Asl a valere come costituzione in mora per mancata contestazione del fatto incongruità delle prescrizioni".
Pertanto, ritenendo immotivatamente rigettata dai giudici d'appello l'eccezione di prescrizione già formulata in primo grado, la difesa ha inteso qui riproporla affinché questo Collegio abbia a valutarla e, ove condivisa, accoglierla dichiarando prescritta l'azione pubblica.
Nel merito, a sostegno dell'infondatezza delle pretesa creditoria, l'avv. M. ha evidenziato un'asserita casualità dell'accusa oltre ad una mancanza di motivazione del sotteso giudizio di “inappropriatezza delle prescrizioni” atteso che, come riportato nel medesimo atto di citazione, "permangono prive di giustificazione ovvero non congrue rispetto alle note AIFA, prescrizioni farmaceutiche per un ammontare complessivo di euro 8.470,09, …nonché euro 12.885,50 relativo alle controdeduzioni che necessitano di ulteriore valutazione".
Da ciò deriva la contestazione dell'azione erariale, per mancata fondatezza e dimostrazione dei fatti di causa, oltre che nel quantum, atteso che l'ASL non ha mai prodotto l'indicazione dei tempi e modi dei rimborsi per i medicinali prescritti dal dottor B.ed oggetto di contestazione.
Ancora nel merito, a smentire la fondatezza dei giudizi di non congruità delle prescrizioni effettuate dal convenuto, la difesa ha richiamato integralmente la documentazione versata in atti attestante la correttezza della condotta tenuta.
Infine, il patrono ha riferito che il dott. B. è inserito in una Associazione professionale composta da una pluralità di membri che prevede al suo interno l'interscambiabilità e la sostituzione tra i singoli componenti, rendendo non precipuamente ascrivibile a ciascuno di essi l'anamnesi del paziente e la quantità dei farmaci prescritti, con la conseguenza che uno stesso paziente potrebbe essere stato curato da più medici partecipi della predetta Associazione, circostanza già rappresentata dal difensore e non contestata, ma neanche superata con prove contrarie, dalla Procura.
Altrettanto indimostrato resterebbe l'elemento psicologico doloso o gravemente colposo del convenuto, fondato dall'attore pubblico sulla costante informazione, rivolta dall'ASL al medico in esame, circa il suo scostamento dalla media, accompagnata dall'invito a giustificare l'appropriatezza delle prescrizioni effettuate.
Sul punto, la difesa, contestato fermamente di aver ricevuto dette note, ha ribadito come, in ogni caso, tali comunicazioni, avrebbero riguardato solo l'eventuale "iperprecrizione" in senso lato, inidonee, pertanto, a dimostrare l'elemento psicologico della condotta oggi contestata, afferente alla diversa fattispecie di prescrizioni incongrue.
Infine, il difensore ha insistito per il rigetto della richiesta di perizia formulata dalla Procura, da ritenersi inammissibile poiché volta a supplire alle carenze delle allegazioni ed offerte di prova a carico di parte attrice, in violazione del chiaro riparto dell'onere probatorio di cui all'art. 2697 c.c.
In conclusione, parte convenuta ha chiesto, previa dichiarazione di inammissibilità di accertamenti tecnici a mezzo di CTU, il rigetto della domanda attrice in quanto sfornita di fondamento per mancanza di prova della condotta antigiuridica ed, in via estremamente subordinata, l'esercizio da parte di questo Collegio del potere riduttivo in considerazione della correttezza diagnostica delle prescrizioni come riconosciuta dalla stessa ASL.
All'udienza del 27 settembre 2017, le parti hanno concluso come da verbale, ulteriormente illustrando le richieste e le argomentazioni già rappresentate negli atti depositati sicché la causa è stata trattenuta in decisione.
Ritenuto in
DIRITTO
Il presente giudizio ha per oggetto l’accertamento della responsabilità amministrativa del dott. G. G. B. per il danno che il medesimo avrebbe causato all’ASL Città di Milano a titolo di pregiudizio patrimoniale corrispondente all'onere finanziario derivante da una "iperprescrizione" di farmaci ai propri pazienti.
Il Collegio, prima di trattare nel merito la causa sottoposta al suo esame, affronta le questioni pregiudiziali proposte dalle parti, ai sensi dell'art.101, comma 2, c.g.c.
Deve essere valutata, quindi, l'eccezione sollevata dalla difesa, di prescrizione dell'azione erariale.
Su tale eccezione la difesa ha contestato la motivazione della pronuncia d'appello (sent. n.537/2016) nella parte in cui ha affermato l'idoneità ad interrompere la prescrizione dell'azione erariale degli atti di costituzione in mora formulati dall'Amministrazione, nonostante questi riguardassero il significativo scostamento dell'attività prescrittiva del medico rispetto alla media a livello aziendale, mentre l'atto introduttivo del libello avesse ad oggetto la diversa ipotesi di prescrizioni farmaceutiche asseritamente prive di giustificazione.
Trattandosi, per il difensore, di fattispecie del tutto distinte e rimanendo del tutto indimostrato che prescrizioni difformi o incongrue rientrino anche nel diverso e più ampio fenomeno delle prescrizioni quantitativamente in eccesso rispetto alla media degli altri medici, i giudici d'appello non avrebbero - se non solo formalmente - assolto all'obbligo di motivazione della pronuncia di accoglimento del gravame.
Da ciò deriverebbe l'ammissibilità della riformulazione della medesima eccezione di prescrizione, ritualmente proposta nei due gradi del giudizio e ritenuta da detto difensore immotivatamente respinta dai Giudici di seconde cure.
L'eccezione di prescrizione riproposta dal convenuto in questa fase del giudizio è inammissibile.
Infatti, analogamente a quanto statuito in tema di efficacia vincolante della sentenza della Cassazione che disponga il rinvio al giudice di merito, (art.394 c.p.c.), è da ritenersi che anche nei giudizi di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti l'oggetto ed i limiti del giudizio di rinvio al primo giudice, disposto ai sensi dell'art.199, comma 2, c.g.c., siano esclusivamente quelli fissati dalla sentenza di annullamento, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio neppure nel caso di constatato errore o di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale, atteso che la riassunzione della causa si configura non già come atto di impugnazione ma come attività di impulso processuale volta a riattivare la prosecuzione del giudizio, conclusosi con la sentenza di annullamento. Pertanto, alle parti è precluso non solo formulare conclusioni diverse dalle precedenti ma è altresì inibito assumere conclusioni che non siano conseguenti alla sentenza di annullamento. Efficacemente, infatti, si è parlato del giudizio di rinvio come di un giudizio "chiuso" al quale sono interdette non solo le questioni espressamente dedotte o che avrebbero potuto essere dedotte dalle parti, ma anche le questioni di diritto rilevabili d'ufficio, ove esse tendono a porre nel nulla o a limitare gli effetti intangibili delle pronuncia di cassazione (mutatis mutandis, di secondo grado nel giudizio di responsabilità amministrativa) e l'operatività del principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta, ma agli effetti della decisione finale della causa (Cass. civ. n.327/10; n.26200/14).
Ciò premesso, avendo, nel caso di specie, il giudice dell'appello espressamente deciso, con efficacia di giudicato interno, dell'eccepita prescrizione dell'azione erariale, ritenendola infondata sotto tutti i profili dedotti, è precluso a questo Giudice del rinvio, cui la causa è stata rimessa per la pronuncia sul merito della causa (cfr. Sezioni riunite, 21 aprile 2016, n.8 e art.199 c.g.t. cit.), conoscere nuovamente della rigettata eccezione che, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile.
Nel merito, la domanda attrice si fonda sull’assunto che il convenuto, medico di medicina generale (MMG) in rapporto di convenzione con il Servizio sanitario nazionale, abbia causato un danno all'erario consistente nell'aver prescritto ai propri pazienti farmaci a carico del suddetto SSN in violazione della normativa vigente.
La condotta illecita sarebbe consistita nel ripetuto scostamento dalle quantità di farmaci prescritte dagli altri sanitari della stessa ASL (iperprescrizione in senso lato) e nel superamento del quantitativo di farmaco assumibile dall’assistito in un determinato periodo di tempo, risultante dalle indicazioni fornite dalla casa farmaceutica e approvate dal Ministero della sanità o nell'aver prescritto un farmaco secondo modalità (per quantità o qualità) di assunzione difformi da quelle previste nelle schede ministeriali o nelle note CUF(iperprescrizione in senso stretto).
La normativa invocata è quella dettata dall'art.1, comma 4, del decreto legge 20 giugno 1996, n. 323 convertito in l. 8 agosto 1996, n. 425, secondo cui “il medico è tenuto a rimborsare al Servizio Sanitario Nazionale il farmaco indebitamente prescritto”, unitamente al principio, di rilievo costituzionale, della tutela della salute dei cittadini e della garanzia di cure gratuite agli indigenti (art. 32 Cost.), realizzato attraverso l'esercizio di opportune forme di controllo-vigilanza sulla somministrazione di medicinali - quale, appunto, l’istituto della prescrizione medica - disciplinato da norme speciali (Testo unico delle leggi sanitarie di cui al Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265).
In particolare, la disciplina dell’attività prescrittiva di medicinali che si assume violata è contenuta in numerose disposizioni di legge (tra le altre, art. 2 del D.L. n.443/87 convertito dalla legge n. 531 del 29.12.1987; art. 1, co. 4, del D.L. n.323/96, convertito dalla legge 8.8.1996, n. 425; art. 3 del D.L. n.23/98, convertito dalla legge 8 aprile 1998, n. 94) ed, in particolare, nel citato Accordo collettivo nazionale reso esecutivo con il d.P.R. 270/2000, che, dopo aver definito, al comma 1 dell’art.15-bis, il medico di medicina generale come colui che, tra l’altro, “assicura l’appropriatezza nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione dalla Azienda per l’erogazione dei livelli essenziali ed appropriati di assistenza...”,ricerca “la sistematica riduzione degli sprechi nell’uso delle risorse disponibili mediante adozione di principi di qualità e di medicina basata sulle evidenze scientifiche” e puntualizza, al comma successivo, che “le prescrizioni di prestazioni specialistiche, comprese le diagnostiche, farmaceutiche e di ricovero, del medico di medicina generale si attengono ai principi sopra enunciati e avvengono secondo scienza e coscienza”, come ribadito nella citata previsione di cui art. 36 del medesimo Accordo.
La presente fattispecie rientra in una tipologia già esaminata più volte da questa Sezione (cfr. sentenze n. 9/2010, 404/2010, 374/2011, 726/2011, 84/2016, 64/2016, 160/2017) che ha espresso un orientamento giurisprudenziale che, nelle sue linee generali, va condiviso da questo Collegio.
Occorre innanzitutto evidenziare, quale premessa teorica, la particolare rilevanza dei diritti coinvolti nella vicenda all'esame, quale quello alla salute ed all'accesso alle cure, costituzionalmente garantiti a tutti i cittadini.
La Corte costituzionale più volte ha affrontato tali tematiche (fra le tante, v. sent. n. 203/2008, n. 257/2007, n. 279/2006, n. 200/2005) in maniera particolarmente significativa con la sentenza n. 94/2009, ove ha posto in rilievo “la particolarità del Servizio sanitario nazionale, che richiede al legislatore ordinario di bilanciare le esigenze, da un lato, di garantire egualmente a tutti i cittadini e salvaguardare, sull'intero territorio nazionale, il diritto fondamentale alla salute, nella misura più ampia possibile; dall'altro, di rendere compatibile la spesa sanitaria con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che è possibile ad essa destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi da realizzare in questo campo. Siffatto bilanciamento costituisce il frutto di una scelta discrezionale”.
Anche la Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 17461/2006, ha statuito che, in relazione al bene-salute, è individuabile un "nucleo essenziale", in ordine al quale si sostanzia un diritto soggettivo assoluto e primario, volto a garantire le condizioni di integrità psico-fisica delle persone bisognose di cura. Allorquando però non ricorrano condizioni di indispensabilità, di gravità e di urgenza, è riconosciuta all'autorità amministrativa la discrezionalità nella scelta tra le possibili opzioni praticabili della soluzione reputata più adeguata alla finalità di piena efficienza del servizio sanitario.
E' indubbia, dunque, ed incontestata la necessità che la tutela del diritto soggettivo del singolo al bene-salute sia contemperata con le esigenze di piena efficienza della spesa sanitaria, al fine di consentire il più ampio accesso possibile di tutti gli aventi diritto alle cure ed ai presidi sanitari del caso.
Fatta questa premessa, necessaria a delineare il contesto nel quale si colloca, l'attività prescrittiva dei medici di medicina generale può presentare due distinti profili di criticità che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono stati individuati nella "iperprescrizione in senso lato" - caratterizzata da un’elevata percentuale di scostamento rispetto al criterio della “media ponderata ASL”- e dalla " iperprescrizione in senso stretto" - quale risultante dalla verifica a campione delle ricette e dei percorsi diagnostici di un numero determinato di pazienti e consistente nel superamento del quantitativo di farmaco assumibile dall’assistito in un determinato periodo di tempo, secondo le indicazioni contenute nelle schede ministeriali relative ai farmaci depositate presso il Ministero della salute e nelle note della CUF, in violazione dell’art. 3, comma 1, del d.l. n. 23/1998, convertito in legge n. 94/1998.
Ora, con riguardo alla prima delle due fattispecie, nella presente come in analoghe vicende, l'illiceità della condotta del medico e la determinazione del danno che ne sarebbe derivato sono stati desunti, in ragione della richiamata efficienza ed ottimale gestione delle risorse sanitarie, all'esito di un complesso ed articolato procedimento che, senz'altro rigoroso ed attendibile sotto il profilo statistico, nulla prova in termini di illecita e pregiudizievole condotta concretamente ascrivibile al dott. B. secondo i comuni canoni della responsabilità amministrativa.
Si legge nell'atto di citazione (pagg. 4 e segg. ) della complessa attività istruttoria compiuta dalla Guardia di Finanza e consistente in un’analisi di dettaglio della spesa per ‘iperprescrizione’ farmaceutica considerata distintamente per alcuni gruppi ‘ATC’ di farmaci sulla base del seguente iter procedurale: 1) calcolo della spesa media per assistibile pesato del singolo Medico di famiglia, desumibile dal rapporto tra il totale della spesa annua generata dalle prescrizioni del medico nell’ambito della classe ATC di riferimento ed il numero degli assistibili pesati secondo i coefficienti previsti dalla DGR 22/12/2000 nr. 2806 (ove la ‘pesatura’ degli assistiti in carico al Medico, per fasce d’età e per sesso, è stata introdotta per consentire un confronto più omogeneo dei dati di prescrizione relativi ai diversi medici, la cui popolazione di assistibili può variare di composizione per età e sesso); 2) calcolo, per ogni gruppo di farmaci ATC, della spesa media per assistibile pesato dalla ASL di appartenenza, vale a dire della media dei valori di spesa pro assistibile pesato generata dalle prescrizioni di tutti i MMG dell’ASL aventi un numero di assistibili pesati superiore a 500; 3) maggiorazione della spesa media assistibile pesato della ASL di due deviazioni standard (o scarto quadratico medio che misura statisticamente la media degli scostamenti di un insieme di valori dalla loro media) per consentire di valutare anche determinate variabili); 4) raffronto della suddetta media ‘ragionata’ ASL con il rispettivo indicatore di spesa media del singolo medico e individuazione dei profili prescrittivi anomali caratterizzati da livelli di spesa superiore alla soglia di riferimento calcolata nel modo sopra riportato.
Ad avviso di questo Collegio, il descritto ed accurato metodo di analisi che prende le mosse dalle rilevazioni, effettuate presso l’ASL, di situazioni caratterizzate da elevate percentuali di scostamento annuo rispetto al criterio della “media ponderata ASL”, ancorché rigorosamente condotto, dimostra soltanto un incontestato maggiore esborso a carico del SSN ma non porta, di per sé, al sicuro ed inconfutabile riconoscimento di una responsabilità amministrativo-contabile del medico potendo, al più, assumere valore solo sintomatico di un'illiceità della condotta prescrittiva, da solo insufficiente, se non suffragato da validi elementi probatori idonei, ad affermare in concreto l'irragionevolezza, connotata da colpa grave o addirittura da dolo, della scelta operata, caso per caso, dal medico.
Sul punto, quindi, il Collegio ritiene di condividere l'orientamento di questa Sezione Lombardia conforme nell'evidenziare la particolare natura dell'esercizio della professione medica, caratterizzata da fisiologici margini di apprezzamento valutativo su diagnosi e cura delle malattie, che affonda le sue radici nel codice deontologico ed impone al medico di adeguare le sue decisioni ai dati scientifici accreditati o alle evidenze metodologicamente fondate, tenendo conto del contesto sociale, organizzativo ed economico in cui opera e sempre perseguendo il beneficio del paziente secondo i criteri di equità e l’uso appropriato delle risorse (ex multis, sent.n.9/2010).
In conclusione, ritiene il Collegio che il criterio astratto del danno da “iperprescrizione in senso lato” derivante dal mero superamento di medie ponderate, non può essere seguito nel giudizio di responsabilità amministrativa, non tanto per l'inattendibilità tecnica del criterio o per la carenza di rigore scientifico, quanto per la sua astrattezza, incompatibile con la valutazione di una attività incontestatamente discrezionale, quale quella medica, ed alla luce del fondamentale principio dell’onere della prova (attoreo) della responsabilità amministrativo-contabile, di natura personale, derivante da comportamenti dannosi storicamente certi e provati, caso per caso, secondo un riscontrato nesso etiologico-causale, non desumibile statisticamente.
Con riguardo, poi, all'iperprescrizione" in senso stretto, si legge nell'atto di citazione (pagg.6 e segg.) di un'ulteriore indagine finalizzata ad evidenziare la sussistenza o meno di una casistica a campione di prescrizioni ‘inappropriate’.
Tale attività ha visto una prima analisi i cui risultati sono stati esposti nella nota prot. n. 29837 del 15 ottobre 2007 e relative schede allegate nella quale l’ASL città di Milano relazionava in merito all’attività prescrittiva del dr. B. riscontrando, per il periodo 2002 – 2004, n. 304 casi/assistiti caratterizzate da una o più prescrizioni ritenute palesemente incongrue.
In tale relazione i giudizi di non congruità recavano le seguenti ricorrenti motivazioni: "Non si rilevano elementi utili per l'aderenza alla nota", o "La prescrizione non appare attinente alla nota mancando riscontri clinici probanti", espressioni volte non ad individuare precisi elementi probatori di inappropriatezza, per ogni singolo caso, della prescrizione, bensì tendenti esclusivamente a rilevare la mancata presenza di documentazione giustificativa.
Raggiunto dall’invito a fornire deduzioni, ai sensi dell’art. 5 della l. n. 19 del 1994, il dr. B. presentava le proprie deduzioni che formavano oggetto di successive valutazioni da parte dell’ASL interessata.
Alla luce di tali deduzioni e dell'ulteriore documentazione prodotta dall'attuale convenuto, l'ASL, con relazione prot. n. 2949 del 27.03.2012, ha ritenuto giustificate parte delle prescrizioni contestate, mentre le residue prescrizioni, per le quali il dott. B. non aveva prodotto alcuna documentazione o prodotto documentazione ritenuta insufficiente a dimostrarne l'appropriatezza, sono state definitivamente ritenute non congrue per un ammontare residuo pari ad € 21.355,59, importo contestato dalla Procura attrice quale danno erariale.
Ora, il fondamento della domanda attrice è che tali prescrizioni, definitivamente ritenute incongrue, siano state effettuate al di fuori dei casi contemplati nella nota CUF di riferimento e, dunque, in violazione dell'art.1, comma 4, D.L. n. 323/1996 cit. con il conseguente obbligo, dallo stesso articolo previsto, di rimborsare al Servizio sanitario nazionale il farmaco indebitamente prescritto.
Nel caso di specie, tuttavia, di tale indebita prescrizione, oltre al mero indizio costituito dallo scostamento dalla media ponderata dell'Asl, non è stata fornita dalla Procura attrice alcuna prova certa, ponendo a carico del medico - in disapplicazione delle norme in tema di distribuzione dell’onere probatorio tra le parti che impone all'attore di provare i fatti posti a fondamento della propria domanda (art. 2697 c.c.) - l'onere di fornire documentazione completa e convincente a smontare l'accusa, come si evince dalle motivazioni dei giudizi definitivi di non congruità che, sostanzialmente si fondano sulla non sufficienza della documentazione prodotta dal sanitario, con l'ulteriore aberrante effetto di ascrivere in capo a quest'ultimo, un'ipotesi di responsabilità amministrativa ove, anche in ragione del notevole tempo trascorso (i fatti contestati risalgono al 2002-2004) ed in assenza di un obbligo legale di conservare copia di prescrizioni e referti di medici specialisti, non fosse riuscito a provare la patologia sofferta dal paziente cui si riferisce la prescrizione contestata.
Per quanto sopra esposto, il Collegio deve rilevare che la domanda attrice risulta sfornita di prova della condotta antigiuridica.
Né peraltro, risulta dimostrato, con riguardo all'"iperprescrizione in senso stretto", l'elemento psicologico della colpa grave o del dolo. Non vale, infatti, a provarne la sussistenza la riferita ricorrenza di una sistematica e reiterata condotta iperprescrittiva tenuta nonostante il medico fosse stato costantemente informato, con notifica di reports da parte dell’ASL Città di Milano.
In disparte la contestazione dell'effettiva notifica di detti reports svolta dalla difesa, è da evidenziare che, in ogni caso, tale consapevolezza avrebbe semmai riguardato lo scostamento dalla media ponderata "iperprescrizione in senso ampio" e non certo l'inappropriatezza o irragionevolezza delle prescrizioni effettuate, c.d. "iperprescrizione in senso stretto" accertata dalla ASL solo in via successiva e, per quanto sopra esposto, non sulla base di una comprovata condotta antigiuridica ma solo per assenza di documentazione idonea a confutare la contestazione.
Sulla base di tutte le sopra espresse considerazioni, anche la subordinata richiesta di C.T.U. avanzata dalla Procura deve considerarsi respinta, non essendo consentito a questo Collegio sostituirsi all'attività del Requirente nell'assolvimento dell'onere di formazione della prova.
Per tutto quanto sopra esposto, deve essere respinta la richiesta risarcitoria a titolo di danno da "iperprescrizione" di farmaci nei confronti del dott. G. G. B. che va mandato assolto da ogni contestazione.
Di conseguenza, vanno liquidati onorari e diritti nei riguardi della difesa del convenuto, stante il proscioglimento nel merito.
A tal proposito il Collegio, tenuto conto della natura e dell’oggetto della causa, ritiene che dette competenze possano essere liquidate nell’importo complessivo pari ad euro 2.000,00 (euro duemila//00), di cui euro 1.500,00 (euro millecinquecento//00) per onorari ed euro 500,00 (euro cinquecento//00) per i diritti spettanti al difensore del convenuto. Ai predetti importi deve anche aggiungersi il 12,50% di spese generali, l’I.V.A. e la C.P.A.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, rigetta la domanda proposta nei confronti di Gabriele G. B..
Pone a carico di ASL Città di Milano, ora A.T.S., la complessiva somma di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre spese generali, IVA e CPA da liquidarsi in favore del convenuto assolto.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti conseguenti.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 27 settembre 2017.
IL GIUDICE ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppina Veccia Silvano Di Salvo
DEPOSITO IN SEGRETERIA L’11/01/2018

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